La sfida di un giornalista di Wired: "Sparisco, trovatemi"

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  1. peppina campo
     
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    Evan Ratliff


    La sfida di un giornalista di Wired: "Sparisco, trovatemi"

    Chissà se alla fine lo trovano, Evan Ratliff, e dove: mentre beve birra in una sgangherata bettola fuori Sonoma, California, o nascosto in un buco della Fifth Avenue, New York, a guardarsi le ultime gocce di un bel pomeriggio di fine estate. C’è tempo fino al 15 settembre: chiunque di noi può riuscirci. E ci sono cinquemila dollari di premio. Per farcela, possiamo avere tutto quello che ha la polizia, i dati delle sue carte di credito, il numero del suo cellulare, possiamo inseguire i suoi viaggi su Internet, cercando immagini e memorie ovunque ce ne siano. E ce ne sono dappertutto. Anche Matthew Alan Sheppard l’hanno beccato, quando ormai sembrava impossibile, per una stupida ricerca cliccata su Google prima di andarsene. E John Darwin, soprannominato «l’uomo canoa» per come era riuscito a eclissarsi navigando su un fiume, l’ha fregato il Dna, sette anni dopo, quando aveva voluto ritornare.

    Nella società del Grande Fratello, è più facile apparire o sparire? Può anche darsi che la risposta sia scontata. «Sparire non è la cosa più semplice», dice Ratliff. E ha deciso di dimostrarlo. «Cercherò di restare nascosto per 30 giorni - ha spiegato su Wired, la rivista per cui lavora -. Resterò negli Stati Uniti, nel mio solito ambiente, non andrò a nascondermi in una capanna nel Montana. Continuerò a usare siti come Facebook e Twitter e telefonerò dai miei numeri. Controllerò i miei inseguitori, cercando notizie su di me».

    Evan si è occupato tante volte di gente scomparsa e di grandi imbrogli via Internet. L’idea della caccia all’uomo gli è venuta dopo essersi appassionato al caso di Matthew Alan Sheppard, un tranquillo manager di provincia sposato da dieci anni, con una figlia di sette. Così ha organizzato tutto con «Wired». Ci pensa il suo amico redattore, Nicholas Thompson, a coordinare la caccia. Nick sa tutto di lui. L’unica cosa che non sa è dove si sia nascosto. Non lo sa nessuno, nemmeno la sua famiglia. Ma Nick metterà in rete tutte le tracce trovate: pagamenti con carta di credito («se sarò abbastanza sciocco o disperato da usare i miei conti», ha detto Evan prima di squagliarsela), telefonate, e-mail.

    Il gioco prevede regole precise. Vince chi lo localizza, lo identifica, lo fotografa e manda le immagini a «Wired» usando la password «Fluke!», colpo fortunato. Non potrà vincere chi, durante la ricerca, commette reati, contatta la famiglia di Evan o gli fa fisicamente male. Il vincitore riceve i cinquemila dollari e deve accettare di essere intervistato, perché Evan racconterà l’intera vicenda storia su «Wired». La fama certo, è un gioco. Ma un gioco vero. «Oggi - ha scritto sul suo sito - è più facile rubare un’identità che liberarsi della propria». Non è più come una volta, «quando potevi muoverti in più Stati, come nei film di Hitchcock, adottando un nuovo nome e cambiando la tua vita con un rischio minimo. Adesso le tue tracce sono inseguite da Gps capaci di rilevare telefonini, e da bancomat, indirizzi IP, transazioni elettroniche e ricerche di computer».

    Nella società che abbiamo costruito, forse esiste da qualche parte un tuo doppio, ma è quasi impossibile che tu riesca a sparire. E’ questo il controsenso. Matthew Alan Sheppard, l’uomo che ha ispirato Ratliff, è stato fregato da tutto questo. Era scomparso annegando in un fiume davanti agli occhi della moglie e della figlia. Nessuna di loro sapeva qualcosa e si erano disperate per davvero. Le ricerche durarono tutto il week end, ma si trovò solo il suo cappello arancione. Sheppard aveva cominciato a sperperare i soldi nei giochi elettronici. Aveva una polizza sulla vita e aveva scoperto che, di fronte all’evidenza della morte, l’assicurazione avrebbe pagato sua moglie anche senza il cadavere. Per questo non le aveva detto nulla.

    Poi però volle tornare, dopo che l’assicurazione aveva pagato il dovuto. Non sapeva che c’era un investigatore che non gli aveva creduto, Sergeant Roberson, uno di quei mastini che ci sono solo nei film, o nei libri di James Crumley. Sergeant era inciampato in un articolo che parlava di Steve Fosset, sparito senza lasciar tracce e ancora oggi mai ritrovato. Aveva usato un trucco: aveva abbandonato il telefonino, sperando che qualcuno glielo rubasse e portasse la polizia dietro le sue tracce. Andò proprio così. Che strano. Anche Matthew aveva perso il cellulare: l’aveva smarrito a un distributore di benzina lì vicino. Sergeant rilesse il computer di Sheppard: Matthew aveva usato solo Google e LexisNexis. Ma andando indietro nel tempo scoprì che una volta aveva messo sul motore di ricerca proprio il nome di Steve Fosset. Bingo. Il resto lo fece il ladro che gli aveva fregato il cellulare: lo abbandonò subito, non creando nessuna falsa pista.

    Lo beccarono in Messico, Sheppard. Aveva aperto un’osteria, e stava seduto all’ombra di un portico a centellinare una tequila dopo l’altra, come a volersi togliere di bocca il sapore della morte. Perché sparire è un po’ come ingannare la morte, o la vita. Non si capisce bene. Ce lo dovrà spiegare Evan, quando torna.
     
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